Il 6 maggio 1976 è una data impressa in modo indelebile nella mente di tutti i Friulani. Alle ore 21.02 ci fu la devastante scossa del terremoto del Friuli, di uno dei più terribili terremoti della storia italiana. Il sisma ha sconvolto e distrutto la vita di moltissime famiglie residenti nella zona Nord della provincia di Udine e Pordenone. Si è trattato di un evento catastrofico che ha segnato per sempre le zone colpite radendo al suolo intere cittadine e causando più di 800 morti.
La scossa e i danni del terremoto del Friuli
Alle 20,59 del 6 maggio 1976 una prima scossa, più leggera, anticipava quella che sarebbe arrivata alle 21,02, una scossa devastante e lunghissima. Durò quasi un minuto, un tempo infinito in cui la terra tremò con un moto sussultorio di 6,4° della scala Richter accompagnato da un boato fortissimo e assordante. L’Orcolat, la creatura terrificante che rappresenta il terremoto nella tradizione popolare e nei racconti degli anziani si era svegliato dopo lungo sonno che durava dal 1924.
La gente si riversava in strada con quello che era riuscita a portare via tra le urla e le lacrime. Gemona del Friuli, Buja, Venzone, Maiano, Trasaghis e San Daniele furono i comuni che subirono i danni maggiori in termini edilizi e di vite umane.
Telefoni, strade, elettricità e acqua erano interrotti, e fino all’1,25 si susseguirono altre scosse. Dopo il terremoto del Friuli molte località si trovarono isolate e la ferrovia bloccata in diversi punti. In alcuni comuni la situazione era catastrofica: edifici pubblici e privati non esistevano più. Persero la vita intere famiglie spazzate via nel crollo di case e condomini. Anche alla caserma Goi dovette fare i conti con il crollo, il bilancio fu gravissimo, persero infatti la vita 28 militari.
La ricostruzione e il modello di efficienza friulano
Le particolari condizioni del suolo e la posizione dei paesi colpiti amplificarono i danni del terremoto del 1976. Ma la ricostruzione partì velocissima. Il Governo nominò Giuseppe Zamberletti come Commissario straordinario con poteri speciali per emanare tutti i provvedimenti ritenuti non solo necessari, ma anche solo semplicemente “opportuni”, esercitando sul campo “le funzioni di tutti i ministeri”.
I fondi statali destinati alla ricostruzione furono gestiti direttamente dal Commissario straordinario, in collaborazione con il governo regionale del Friuli Venezia Giulia.
Per la prima volta vennero istituiti dei “centri operativi”, con il potere di gestire le operazioni di soccorso in base alle caratteristiche del territorio e alle sue risorse.
Durante la fase della ricostruzione il potere decisionale fu affidato ai sindaci, che spesso espropriarono le case e dichiararono interi centri storici monumento nazionale per consentire interventi più rapidi e meglio realizzati.
Grazie allo spirito di iniziativa personale dei friulani e all’economia locale la ricostruzione si trasformò in una macchina veloce ed efficiente. Questa fu la spinta che consentì lo sviluppo dell’intero Friuli dopo la tragedia. La popolazione partecipò attivamente alla ricostruzione che si potè dire completa in poco più di 15 anni secondo il modello “com’era, dov’era”.
Il ricordo del terremoto del Friuli
A distanza di 40 anni da quel terribile 6 maggio 1976 il Presidente Mattarella, accompagnato dalla presidente della regione Serracchiani e da altre cariche istituzionali diede il via alla cerimonia in ricordo delle vittime del terremoto a Gemona. Fu celebrata con la deposizione di una lapide commemorativa in memoria dei caduti. Ogni anno il 6 maggio è luogo di ritrovo per ricordare le vittime e la figura di Giuseppe Zamberletti, padre della ricostruzione delle zone colpite.